Pinacoteca Ambrosiana
Nel 1609 il cardinale Federico Borromeo, arcivescovo di Milano e cugino di Carlo, aprì al pubblico la Biblioteca Ambrosiana, guidata da un gruppo di ecclesiastici, il Collegio dei Dottori, esclusivamente dedicati a coltivare le scienze, le lettere, gli studi storici e in genere la promozione della cultura per il bene della Chiesa e dell’intera società civile. Per questo il fondatore volle raccogliere nella Biblioteca migliaia di antichi manoscritti di ogni lingua e ambito culturale, insieme a libri a stampa, disegni e incisioni.
Nelle intenzioni di Federico Borromeo l’Ambrosiana doveva avere, accanto alla Biblioteca, per lo studio delle scienze e delle lettere, una seconda anima, la Pinacoteca, dove l’arte viene coltivata e offerta alla fruizione del pubblico. Per questo, il 29 aprile 1618 il cardinale donò la sua collezione di dipinti, statue, stampe, disegni e incisioni all’Ambrosiana, istituendo la Pinacoteca, che doveva servire da supporto e modello a una futura Accademia di belle arti per la formazione e l’educazione del gusto estetico, in conformità con i dettami del Concilio di Trento e con le nuove esigenze dell’arte sacra.
L’Accademia delle Arti e del Disegno Ambrosiana fu inaugurata nel 1621 e il primo presidente fu il pittore Giovan Battista Crespi detto il Cerano. La nuova istituzione, agli inizi, ebbe vita fiorente: vi aderirono architetti, pittori e scultori insigni, quali il Biffi, il Mangone, il Procaccini, il Morazzone, Daniele Crespi, il Nebbia; le sue attività via via si affievolirono e nel 1776, cessò di esistere. La Pinacoteca, invece continuò ad ampliare le sue collezioni.
Inizialmente la quadreria era costituita da 172 dipinti, tutti provenienti dalla raccolta del Cardinale. Tra di essi vi erano dei capolavori assoluti come l’Adorazione dei Magi di Tiziano (già appartenuta al cugino san Carlo Borromeo), la Canestra di frutta di Caravaggio, il Cartone per la Scuola di Atene di Raffaello, La Sacra famiglia con sant’Anna e san Giovannino di Bernardino Luini. Vi era poi un consistente nucleo di opere di soggetto paesaggistico e di nature morte dei maestri fiamminghi Jan Brueghel e Paul Bril, direttamente commissionate dal Fondatore.
I criteri che guidarono il Borromeo nella sua impresa collezionistica sono espressi chiaramente nel suo Musaeum del 1625, da cui traspaiono la sua ferma convinzione nell’efficacia delle opere d’arte come mezzo per educare e indurre devozione negli spettatori (come affermato dai dettami del Concilio di Trento) e la sua visione ottimistica della fede e del mondo, derivatagli certamente da san Filippo Neri. Nel Musaeum Federico descrive scrupolosamente l’aspetto della quadreria, allora allestita in quattro sale secondo una suddivisione per scuole ben definita: veneta, leonardesca, fiamminga; il cartone preparatorio per la Scuola di Atene e le copie da Raffaello e infine la sezione dedicata alle copie da sculture antiche e da Michelangelo.
Come la Biblioteca Ambrosiana è a Milano, in Europa la prima Biblioteca aperta al pubblico, così la Pinacoteca Ambrosiana è stata senz’altro il primo museo d’arte pubblico della città di Milano e una delle collezioni più prestigiose al mondo, sia per i grandi capolavori che il suo fondatore ha voluto in essa raccogliere, sia per le numerose donazioni di mecenati che, nel corso dei secoli, sono andate ad arricchirne ulteriormente il patrimonio.



CARTONE
Cartone preparatorio per la Scuola di Atene (Raffaello Sanzio)
Avete presente la Scuola di Atene di Raffaello ai Musei Vaticani nella Stanza della Segnatura?
Questo è il suo cartone preparatorio, misura infatti quasi tre metri di altezza per oltre otto di lunghezza, ed è realizzato interamente dalla mano di Raffaello nel 1508.
E’ conservato alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano e si tratta dell’unico grande cartone rinascimentale pervenuto quasi integro sino ai nostri giorni e la sua importanza è accresciuta dal fatto che è opera di uno degli artisti più ammirati di tutti i tempi, Raffaello Sanzio.
Correva l’anno 1508 e un giovane Raffaello giunge a Roma, chiamato dal Papa Giulio II°, per affrescare La Scuola di Atene nella Stanza della Segnatura in Vaticano.
Lo fa preparandosi su un cartone a grandezza 1:1, senza sapere che quel capolavoro valicherà frontiere e attraverserà i secoli.
La sua avventura ha inizio con il cardinale Federico Borromeo che lo acquistò dalla vedova del conte Fabio Borromeo Visconti nel 1621 per la somma di seicento lire imperiali, all’epoca esorbitante.
In realtà il conte Borromeo Visconti aveva concesso in prestito l’opera all’Ambrosiana sin dal 1610, ma la conclusione dell’acquisto fu un vero e proprio successo per il cardinale Federico, che si assicurava così un’opera originale del genio urbinate, preziosissimo materiale di studio per gli allievi dell’Accademia.
A fine Settecento è requisito da Napoleone che lo trasferisce a Parigi dove, fortunatamente, approda al Louvre e viene restaurato.
Dopo Waterloo, nel 1815, grazie a Canova rientra in Italia e dal 1837 viene esposto in Ambrosiana.
Durante la prima guerra mondiale il capolavoro, per ragioni di sicurezza, venne “sfollato” a Roma, mentre nella seconda fu ricoverato nel caveau della Cariplo. Nel dopoguerra divenne ambasciatore nel mondo del desiderio di rinascita di un’intera nazione ed oggi è possibile ammirarlo dopo un lungo restauro.

Che cosa rappresenta?
La tecnica dell’affresco richiedeva che il colore fosse steso sulla parete bagnata, in modo tale che si fissasse all’interno dell’intonaco. Di giorno in giorno quindi si procedeva a intonacare solo la porzione di parete che si riteneva di poter terminare prima che la superficie fosse asciutta. Il cartone serviva per riportare con precisione il disegno sul muro: si bucherellavano i contorni delle figure e si poggiava poi il foglio contro l’intonaco, ripassandolo con dei tamponi contenenti polvere di carbone. Il cartone dell’Ambrosiana si è conservato poiché non venne effettivamente utilizzato per trasportare il disegno di Raffaello sulla parete, ma per mostrare al Papa l’effetto complessivo dell’opera una volta ultimata; i tipici fori dello spolvero che vi si possono osservare sono da attribuirsi al fatto che lo si utilizzò per trasferire il disegno su un secondo cartone, direttamente operativo sull’intonaco.
L’accuratezza del disegno, caratterizzato da un forte chiaroscuro con netti rialzi luminosi a biacca, doveva servire come modello di riferimento per chi doveva stendere la pittura e dimostra come in Raffaello il cartone della Sant’Anna di Leonardo e gli studi michelangioleschi per la Battaglia di Cascina avessero impresso un’impronta indelebile.
Il cartone trasmette l’equilibrio compositivo e la chiarezza di contenuto che l’artista voleva raggiungere in questo dipinto, vero e proprio trionfo della saggezza antica radunata attorno alle figure cardine di Platone e Aristotele. Con una capacità sintetica senza pari, Raffaello riesce a condensare in due semplici gesti l’intera indagine filosofica dei due pensatori: il primo indica con la mano destra l’Iperuranio, il mondo delle Idee, il secondo ha il palmo della mano rivolto verso il basso, a indicare la sua filosofia improntata all’indagine del mondo concreto. Tutt’intorno si dispone il consesso degli altri pensatori dell’antichità. In primo piano, sulla destra, si può osservare il gruppo dei filosofi interessati ai fenomeni celesti e della natura: tra di essi scorgiamo una figura barbuta che regge un globo: si tratta di Zoroastro, intento a dialogare con Tolomeo, di spalle e anch’esso con una sfera celeste in mano. Poco più in là vi è una figura china a disegnare col compasso: è stata variamente interpretata come Archimede o Euclide nell’atto di dimostrare dei teoremi. Sulla sinistra invece è riconoscibile la figura di Pitagora intento a leggere un libro, mentre il filosofo adagiato sulla scalinata ai piedi di Aristotele è Diogene.
Rispetto all’affresco del Vaticano, manca l’imponente architettura che inquadra la scena, con possenti arcate aperte sul cielo limpido e ispirata ai progetti del Bramante per la nuova Basilica di San Pietro. È assai probabile che sia stato realizzato un secondo cartone riportante il disegno della parte architettonica, purtroppo perduto.


Adorazione dei Magi
La bella cornice originale, con il monogramma HD leggibile nei suoi quattro angoli, con la ripetizione di mezzelune, archi e frecce identificatori della dea Diana, ci ricorda che questa grande tela fu commissionata dal cardinale Ippolito II d’Este per Enrico II, Re di Francia, e la sua favorita, Diane de Poitiers. Per varie vicende, l’opera non andò mai in Francia, ma fu acquistata da san Carlo Borromeo e da lui donata all’Ospedale Maggiore con lascito testamentario, per essere infine acquistata dal cardinal Federico nel 1588. Nel Musaeum, il Cardinale definì l’opera “molto utile allo studio dei pittori che da essa potrebbero ricavare numerosi spunti… contiene, infatti, tipi umani, multiformi figure di animali, panorami naturali e anche esempi di raffinate architetture”. Eseguito attorno al 1559-60, probabilmente con l’ausilio di aiutanti di bottega, il dipinto ha molte caratteristiche del Tiziano maturo. Interessante la resa del cielo, ove la stesura cromatica lascia a tratti spazio alla tela lasciata grezza, con un effetto del tutto particolare. Vale la pena di ricordare anche una curiosità: il grazioso cagnolino ai piedi della capanna venne coperto, perché ritenuto scandaloso e irriverente. Nel De pictura sacra, il Cardinale definì l’ispiratore di tale rimozione “austero e fanatico” e riporta le parole di Tiziano stesso, secondo il quale “non faceva meraviglia che gente ignorante di ogni arte avesse potuto commettere un simile sfregio”. In occasione dell’ultimo intervento restaurativo, la bestiola è stata recuperata, contribuendo a sottolineare l’interesse naturalistico del geniale pittore veneto.

Canestra di frutta (Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio)
La Canestra di frutta di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio è probabilmente l’opera più celebre presente nella collezione del cardinale Federico, nucleo originario della Pinacoteca Ambrosiana, ed è giustamente considerata una specie di “prototipo” di quel soggetto particolare che va sotto il nome di “natura morta”: rappresenta un canestro di vimini da cui traboccano frutti e foglie, il tutto eseguito con grande realismo e attenzione al dettaglio, quasi in contrasto con lo sfondo neutro e astratto del quadro e la linea di colore su cui il canestro stesso è appoggiato, sporgendo.
Caravaggio eseguì quest’opera a Roma, tra il 1597 e gli inizi del secolo successivo, riutilizzando una tela che conserva tracce di un precedente dipinto e Federico Borromeo la acquisì durante il suo soggiorno romano, probabilmente grazie alla mediazione del cardinale Francesco Maria del Monte o del cardinale Benedetto Giustiniani, entrambi legati al grande pittore lombardo come suoi mecenati.
Più volte il fondatore dell’Ambrosiana parla di questo dipinto straordinario nei suoi scritti: lo colloca espressamente accanto alle opere dei pittori fiamminghi (in particolare Jan Brueghel), sia per il soggetto che richiama i temi della natura, sia per la cura meticolosa del dettaglio, e afferma di aver cercato invano un’opera che potesse starle a confronto, ma esso, «per la sua incomparabile bellezza ed eccellenza, rimase solo», frase che esprime la singolarità eccezionale di un autentico capolavoro.
Ne sono state date molte interpretazioni, anche di carattere religioso: indubbiamente l’estremo realismo con cui sono accostati i frutti freschi e quelli ormai bacati, e le foglie che progressivamente seccano accartocciandosi, rendono percepibile il dinamismo del tempo che passa.

Sala dell’Esedra
Questo mosaico riproduce fedelmente la celebre miniatura custodita nella Biblioteca Ambrosiana, si tratta di un prezioso manoscritto con le opere di Virgilio, appartenuto a Francesco Petrarca, che lo studiò accuratamente e lo appuntò con note autografe.
Il Petrarca amava talmente questo codice che commissionò al celebre pittore senese Simone Martini una grande miniatura di commento alle opere di Virgilio.
In occasione del bimillenario virgiliano del 1930 questa miniatura di Simone Martini venne per l’appunto riprodotta in mosaico nell’abside della sala dell’Esedra, commissionata dal prefetto della Biblioteca Ambrosiana Giovanni Galbiati, eseguito dai pittori Carlo Bocca e Giovanni Buffa e dal mosaicista Rodolfo Gregorini.
Si possono notare chiaramente Virgilio mentre sta componendo, il grammatico Servio che “toglie il velo”, cioè rivela il senso profondo della poesia virgiliana, e i tre personaggi allegorici che richiamano le tre opere principali del poeta: il pastore per le Bucoliche, l’agricoltore per le Georgiche, e l’eroe militare per l’Eneide.
È una vera e propria scenografia che accoglie una scala curvilinea che porta al piano superiore.
In architettura, un’esedra è un incavo semicircolare, sovrastato da una semi-cupola, posto spesso sulla facciata di un palazzo. Il significato greco originale si riferisce ad un ambiente aperto destinato a luogo di ritrovo e conversazione filosofica.
CURIOSITÀ
Il Petrarca custodiva la miniatura come libro prezioso e quasi come diario personale, come dimostra il fatto che proprio sul primo foglio annotò il triste evento della morte di Laura.

Non si scherza con il mantello Tupinamba
A Milano il cardinale Federico Borromeo riceveva e ospitava spesso missionari di ritorno dall’America Latina, per informarsi dell’evangelizzazione di quelle terre.
Lo straordinario mantello, realizzato legando penne in prevalenza di Ibis rubra su una rete a filet di cotone, secondo una tecnica documentata nei secoli XVI e XVII presso le popolazioni Tupinambá (che occupavano la fascia litoranea atlantica tra la foce del Rio delle Amazzoni e lo stato di São Paulo) è giunto in Ambrosiana grazie al lascito della collezione del famoso naturalista Manfredo Settala, che a sua volta lo aveva ricevuto in dono dal principe Federico Landi, personaggio di un certo spicco sulla scena politica tra Sei e Settecento, legato all’imperatore Filippo III di Spagna.
Per la delicatezza dei materiali sono pochissimi i manufatti di questo genere giunti fino a noi e questo è l’unico che presenta un motivo geometrico sul dorso, probabilmente un uccello stilizzato, realizzato con penne azzurre e gialle di Ara.
CURIOSITÀ
Grazie allo studio di fonti storiche del XVI-XVII secolo relative ai Tupinambá, si è recentemente ipotizzato che il mantello venisse utilizzato dal protagonista del cerimoniale più importante per la vita sociale di questa popolazione, che era un rito CANNIBALICO. Era volto a ottenere per i guerrieri la possibilità di accedere dopo la morte a una mitica ‘Terra senza Male’, secondo le loro credenze.

La camera delle meraviglie – Il museo Settala
Tra il ‘500 ed il ‘600 era diffusa, in tutta Europa, la moda, da parte di ricchi aristocratici, di creare delle wunderkammern, ovvero delle “camere delle meraviglie”, dei musei privati dove poter raccogliere oggetti “meravigliosi” provenienti da tutto il mondo, con lo scopo di incuriosire, sbalordire, meravigliare i propri ospiti o visitatori del museo.
Gli oggetti esposti erano divisi in:
- Naturalia, cioè oggetti forniti all’uomo direttamente dalla natura e suddivisibili a loro volta in animali, vegetali, minerali;
- Artificialia, cioè oggetti creati dall’uomo come manifestazione della sua capacità modificatrice sulla natura;
- Curiosa cioè oggetti che potevano incuriosire o stupire l’osservatore
Certamente di quest’ultima categoria la Pinacoteca Ambrosiana conserva delle rarità. Tra tutte sono rimasta sorpresa di trovare intatta una ciocca di capelli appartenuta a Lucrezia Borgia.
Ancora oggi non si sa con certezza come abbia fatto quella ciocca di capelli ad arrivare fino a Milano, ma si ritiene sia il simbolo dell’amore della duchessa e Pietro Bembo, un intreccio d’amore tra una ragazza tormentata e un dotto umanista.
Nello stesso punto fanno capolino i guanti appartenuti a Napoleone indossati durante l’epica battaglia di Waterloo.



Cristo incoronato di spine (Bernardino Luini)
L’Aula Leonardi è dominata da uno splendido affresco di Bernardino Luini, testimonianza dell’originale destinazione della sala. L’affresco infatti venne commissionato nel 1522 all’artista per decorare il Luogo Pio di Santa Corona, sede di una confraternita dedita alla cura e all’assistenza di poveri e ammalati. Successivamente l’Oratorio venne inglobato nel complesso dell’Ambrosiana e durante la seconda guerra mondiale l’opera si salvò miracolosamente dai bombardamenti in quanto si era provveduto ad innalzare un muro aderente a protezione.
La scena dell’Incoronazione di spine è inquadrata da una rigorosa struttura architettonica formata da un pergolato con due colonne in primo piano ricoperte da un motivo di spine dorate, a ricordare il nome della confraternita che aveva sede nell’Oratorio.
Al centro, Cristo spogliato delle vesti e coperto unicamente da un manto rosso, è deriso da alcuni sgherri che gli battono sul capo la corona di spine e gli rivolgono dei gesti denigratori. Nella resa dei volti degli aguzzini, Luini si è sicuramente ispirato ai disegni di teste grottesche di Leonardo, alcuni oggi conservati proprio in Ambrosiana. Al di sopra del Redentore due angeli reggono il cartiglio che recita “caput regis gloriae spinis coronatur” “Il capo del re della gloria è incoronato di spine”. Ai lati, i dodici confratelli di Santa Corona sono raccolti in adorazione, vestiti di nero e con il cappello in mano, quasi stessero assistendo alla scena della Passione. Tra le colonne, alle spalle dei confratelli, si intravedono altre scene della Passione: sulla sinistra, Giuseppe d’Arimatea chiede di poter seppellire il corpo di Cristo e, sullo sfondo, lo stesso Giuseppe ritirato in preghiera. Sulla destra, l’Angelo annuncia alle pie donne la Risurrezione. In questo modo Luini rappresenta nell’affresco l’intero mistero pasquale: l’Incoronazione di spine, nella sua drammaticità, riassume in sé tutti gli altri momenti della Passione di Cristo e anticipa il momento glorioso della Risurrezione.

Tra Canova e Thorvaldsen – Sala Sculture
Questa sala è la più recente dell’Ambrosiana, risale alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, quando la Pinacoteca venne completamente ristrutturata.
La soluzione architettonica escogitata per creare questo nuovo spazio espositivo, dove in precedenza vi era un semplice passaggio all’aperto, si è realizzata in un’ampia e panoramica vetrata che permette una visione suggestiva sull’intero cortile degli Spiriti Magni.
Qui potete trovare i due autoritratti di questi grandi del Neoclassicismo, l’italiano Antonio Canova e il danese Bertel Thorvaldsen, l’eterna sfida da cui è nata la scultura moderna.
CURIOSITÀ
Com’è nata la rivalità tra i due artisti?Nel 1801 Canova si cimentò nel genere eroico scolpendo un Perseo trionfante, l’opera era ricca di significati contemporanei. A sua volta, Thorvaldsen, realizzò un Giasone che rispetto all’opera canoviana era decisamente più virile.

L’elemento che mancava – Sala Federiciana
Se mi chiedessero a cosa sei affezionata di più?
Alla magia di questo momento, alle scoperte e all’esperienza dal vivo.
La Sala Federiciana dell’Ambrosiana è l’antica sala di lettura della Biblioteca. Fu costruita agli inizi del Seicento su progetto dell’architetto Lelio Buzzi e successivamente completata da Fabio Mangone.
La sala si presenta tuttora come la volle il cardinale Borromeo. Egli sicuramente esaminò con i suoi architetti i progetti delle biblioteche più all’avanguardia dell’epoca, in particolare egli si ispirò a quella di Filippo II all’Escorial a Madrid, introducendo allo stesso tempo delle importanti innovazioni.
Infatti, come all’Escorial, la sala di lettura dell’Ambrosiana non prevedeva tavoli di lettura separati, ciascuno con una propria finestra, né che i libri fossero assicurati ai tavoli con catene, bensì fossero a diretta disposizione dei lettori negli scaffali.
L’illuminazione era garantita da due ampi finestroni agli estremi della volta a botte: in questo modo si evitava che la luce diretta dalle finestre infastidisse i lettori.
CURIOSITÀ
Purtroppo, nel 1943, la Sala Federiciana insieme ad altre sale dell’Ambrosiana fu seriamente danneggiata dai bombardamenti: numerosi spezzoni incendiari penetrarono nella copertura della sala provocando crolli di pareti e l’incenerimento di diversi scaffali con i preziosi libri in essi contenuti.
Essa venne poi restituita al suo splendore nel dopoguerra e oggi ospita le esposizioni tematiche del Codice Atlantico di Leonardo da Vinci.

Cortile degli Spiriti Magni
Nella prima metà del secolo scorso fu realizzata una serie di statue in bronzo che rappresentassero i grandi spiriti della cultura europea, dal Medioevo fino all’età moderna: possiamo infatti distinguere san Tommaso d’Aquino, Dante e Alessandro Manzoni, Johann Wolfgang Goethe come figura emblematica della cultura tedesca, William Shakespeare per la cultura inglese, François-René Chateaubriand per quella francese, Paracelso per quella elvetica; e infine due figure dell’Europa orientale: Sándor Petőfi, poeta ed eroe nazionale per l’Ungheria e Dimitrie Cantemir, umanista e letterato per la Romania. Una specie di cenacolo simbolico delle grandi menti europee, sotto l’iscrizione della Divina Commedia che compare sulla facciata e che ricorda gli Spiriti Magni dell’antichità contemplati da Dante nel Limbo nel Canto IV dell’Inferno. Sulla stessa parete si possono notare i resti di un affresco di Aurelio Luini, figlio del più celebre Bernardino.
Il cortile degli Spiriti Magni è dominato poi dall’abside neoromanica della chiesa di San Sepolcro, di fondazione medioevale, mentre tra le colonne si possono notare molti antichi altari greci e romani, insieme ad altri reperti archeologici che dall’antichità giungono fino al Medioevo.
Proprio al di sotto dell’area occupata oggi dall’edificio dell’Ambrosiana e dalla chiesa del Santo Sepolcro sono stati rinvenuti i resti dell’antico foro romano, vero e proprio cuore antico di Milano.


Special Thanks & Credits
LOCATION Pinacoteca Ambrosiana
IDEAZIONE Inspiring People Daily
PHOTO David Coloma
MUA Arianna Rainone
SPECIAL THANKS Elena Fontana, Relazioni esterne e Antonello Grimaldi, Segretario Generale
Il progetto
Percorso di conoscenza dei luoghi simboli della cultura, della scienza e del patrimonio storico di Milano.
L’arte ci aiuta a costruire uno
stile di vita sostenibile regalandoci ispirazioni.

