Sociologi e neurologi contemporanei sono concordi : l’iper-connessione alla tecnologia mobile produca influenze negative sul nostro comportamento e più in generale sul nostro grado di felicità e percezione del mondo.
E se stessimo guardando le cose nel modo sbagliato? Se la dipendenza da smartphone non fosse anti-sociale ma iper-sociale?
Il professor Samuel Veissière, un antropologo cognitivo che studia l’evoluzione della cognizione e della cultura, in uno studio pubblicato nel mese di gennaio su Frontiers in Psychology, ci spiega che il desiderio di guardare e monitorare gli altri, ma anche di essere visto e monitorato dagli altri, scorre profondamente nel nostro passato evolutivo.
Gli esseri umani si sono evoluti per essere una specie sociale unica e richiedono un input costante da parte degli altri, cercano una guida per capire il comportamento culturalmente più appropriato in un dato contesto. Il desiderio umano di connettersi con altre persone è quindi uno dei modi per trovare significato, obiettivi e un senso di identità.
Attraverso la lente evolutiva, Samuel Veissière e Moriah Stendel, entrambi ricercatori del Dipartimento di Psichiatria della McGill University, propongono di collocare la dipendenza su un meccanismo evolutivamente più vecchio: il bisogno umano di monitorare ed essere monitorato dagli altri.
Non siamo dipendenti da smartphone, siamo dipendenti dall’interazione sociale
Su queste basi e utilizzando le recenti visioni di elaborazione predittiva della percezione nelle neuroscienze cognitive, descrivono il ruolo dell’uso di smartphone, esplorano le filosofie contemplative e suggeriscono un focus per stabilire protocolli di consumo delle informazioni sociali che possano farci riprendere il controllo dalla dipendenza.
Alcuni passi per riprendere il controllo sulle dipendenze dello smartphone:
- Rilassati e celebra il fatto che la tua dipendenza riflette una normale voglia di connettersi con gli altri!
- Disattiva le notifiche push e imposta le ore appropriate per controllare intenzionalmente il tuo telefono.
- Crea “protocolli intenzionali” con amici, familiari e ambienti di lavoro per stabilire chiare aspettative su quando comunicare
La ricerca suggerisce che anche le politiche sul posto di lavoro “che vietano le e-mail serali e del fine settimana” sono importanti.
Le aziende stanno diventando sensibili a questo tema, come Motorola, tra i produttori di tecnologia, che ha aperto un sito tempo fa con un quiz e una serie di indicazioni per monitorare la propria dipendenza: l’iniziativa si chiama Phonelifebalance .
Esistono poi alcune app: le più interessanti sono (OFFTIME) Light (iOS, a pagamento, e Android) e Quality Time . Per stare sul basico c’è Checkyapp , che ci dice quante volte abbiamo utilizzato il telefono.
In inglese la dipendenza da smartphone viene definita Nomophobia.
Questo termine è la compressione della frase “NO MObile PHOne phoBIA“, ovvero la paura (phobia) di non poter utilizzare il proprio telefono cellulare (no mobile phone).
Poichè l’interazione sociale è alla base del desiderio umano le ricerche dunque suggeriscono di non focalizzarsi sull’aspetto distopico che creano, ma di generare modalità di comportamento che ne consentano una migliore gestione.
Un’attenzione particolare alle nuove tipologie di turismo derivanti da questa necessità sono le proposte di Detox digitale: intere giornate dove allontanarsi dai dispositivi, vedere cosa succede, riconnetterci con noi stessi e la nostra essenza e lavorare per non permettere loro di dominarci.
Passiamo da un Always On ad un Always Me.