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Video: pigrizia o snobismo?

by Rossella Guido
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Nell’era della Costante Attenzione Parziale definita in modo così illuminante da Alberto Contri nel suo saggio “MacLuhan non abita più qui” dove il fattore tempo richiede nuovi sforzi per combattere la deconcentrazione del lettore e la creazione di equilibri tra contenuti di valore e brevità del messaggio, sperimento quotidianamente le risposte più disparate alla proposta di creare contenuti video per il proprio progetto/ricerca/azienda.

Se è vero come ci indicano i dati Google che l’81% degli individui di età tra i 18 e i 34 anni possiede uno smartphone e che il 98% dei 1.519 intervistati ha dichiarato di utilizzare gli smartphone per guardare i contenuti video, resta davvero poco spazio al dubbio sull’immediatezza del mezzo video.

Per quanto concerne l’efficacia, i video rispondono alle medesime caratteristiche di ogni mezzo comunicativo: pertinenza, qualità, contesto, intenzione e risultati che si desiderano ottenere, ma se metà dei pubblicitari statunitensi già da anni sta spostando il proprio budget dalla televisione ai video digitali (AoL 2015 US State of the Video Industry Report) e il 96% delle organizzazioni B2B utilizza questi ultimi come parte del marketing online, con il 73% che ne conferma l’impatto positivo sui risultati (report Reelseo), una riflessione sullo sviluppo di nuove competenze va fatta.

La pigrizia mentale nell’immaginare contenuti diversi da quelli che si sono sempre prodotti ricorre in molti ambiti in generale della vita, e certamente uscire dalla comfort zone per passare da un mezzo informativo cartaceo ad uno storytelling video che sia coinvolgente e dinamico non ne è esente, ma oltre una normale soglia di resistenza al cambiamento c’è da parte di molti studiosi e imprenditori anche un latente snobismo intellettuale nel considerare questi mezzi come appannaggio di una società effimera, dove la forma non è adeguata al livello d’importanza che deve avere il contenuto nella loro testa.

il video: a che serve?

Ancor prima dunque di parlare di strategie, di valore concettuale, di rischi, possibilità e del come adeguare piani editoriali c’è una forma di boicottaggio psicologico che genera in loro un loop: meno ne fanno – meno risultati ottengono – più s’intestardiscono sulla convinzione che non servano.

Senza voler convincere nessuno, forse questo studio redatto da professionisti provenienti da varie parti del mondo sarà in grado di corteggiare le menti più snob: Content is still king, but how it’s delivered matters 

E’ il caso di dire: staremo a vedere 😉

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